Renzi solo contro tutti, il caso Open divora Leopolda | L'HuffPost

2021-11-22 13:54:21 By : Ms. fancy chen

Alle 19.25 il gran finale è un crescendo: "Questa inchiesta è un'operazione politica che, in termini tecnici, si chiama sputtanazione mediatica". Da qui l'annuncio che risponderà colpo su colpo, udienza dopo udienza: “Procederò a sporgere denuncia in tutti gli uffici, penali, civili, chiedendo i danni a chi diffama. Lo faccio per i miei figli. Sono i giudici che hanno violato la legge, non io».

Alle 18.07, un'ora e diciotto minuti prima, il tempo medio per le conclusioni di un congresso, un discorso di fiducia alle Camere, forse anche un discorso di un premier alle Nazioni Unite, Matteo Renzi inizia il suo intervento. Seduto, pila di carte davanti a sé, calma apparente, di quelle che a malapena nascondono un groviglio di sentimenti: rabbia, risentimento verso gli ex compagni di partito, anche la volontà di mostrarsi ancora padrone della situazione e innocente, qui, nel suo Casa. È, prima di tutto, uno che già si sente accusato e si difende senza l'audacia di quando accusa, segno che è soprattutto un uomo scosso. È colpito nel cuore del suo sistema di potere, di relazioni, e anche nel giudizio collettivo su questa materia. Chi non sente, intorno, una solidarietà politica oltre i confini della sua cerchia pari al colpo inferto. E la Leopolda, luogo d'attacco per eccellenza, di sfoggio di potere nel periodo di massimo splendore, si trasforma nel set di “Un giorno in magistrale”.

La prosa è prolissa. L'argomentazione quasi ossessiva nel rispondere punto per punto alle accuse: fatti, sms, date, per dimostrare come l'inchiesta Aperta sia "a strascico" e nemmeno per "i delitti di 'Ndrangheta" per modalità e dispiegamento delle forze. E denunciare le violazioni delle "garanzie costituzionali non verso Matteo Renzi, ma verso un parlamentare della Repubblica", perché per acquisire sms e telefonate bisogna chiederlo al Parlamento. La tesi difensiva è nota. E cioè che non si tratta di finanziamento illecito perché si trattava di un finanziamento ad una "fondazione culturale" - come sarebbe stato definito in una sentenza della Cassazione su appello di Carrai - non di parte, e, soprattutto, non spetta «ai giudici stabilire cosa sia una parte e cosa non lo sia».

Non è un nuovo Berlusconi che scaglia frecce contro una magistratura politicizzata, con il vigore di chi ha il suo consenso e la sua forza, anche se alcuni passaggi sono abrasivi perché, dice, «se avessimo fatto quello che fanno le correnti del Csm ci indagherebbe per traffico di influenza”. L'intero discorso, in fondo, trasmette una profonda solitudine, che è l'altra faccia di una debolezza politica. Rancore, c'è poco da fare, perché quando la lingua batte sul dente della politica dal processo, è il solito Renzi, che accusa D'Alema di "aver distrutto Mps che nemmeno la peste" o Bersani di "aver preso i soldi di Riva di Taranto "per la campagna elettorale, con grande giubilo della sala, il cui orologio emotivo è sempre fermo a quella stagione. Ecco, la contraddizione è proprio questa: accusa, con allusioni, di non aver nulla a che fare con garantendo, e insieme invocando solidarietà in nome delle prerogative del Parlamento e garantendo.E, forse, questo spiega il merito politico anche quando non ha torto, perché non c'è dubbio che l'inchiesta è un disonore alle prerogative del Senato, e quello che vale per Renzi oggi potrebbe valere per ogni parlamentare domani. Lo precede. In questa contraddizione c'è tutta la contraddizione della biografia politica di Renzi - ricorda i casi, Cancelli eri e Lupi, o Josefa Idem e Federica Guidi? - che ha spesso piegato il garantismo a opportunità politica. C'è la spregiudicatezza politica degli ultimi anni e anche la morale di oggi, come l'intreccio di denaro proveniente dall'Arabia e il ruolo di Senatore della Repubblica, che è vero che rientra nella sfera delle opportunità e non delle leggi, ma anche in questo caso mette in discussione la dignità e, in definitiva, il rispetto delle istituzioni.

C'è poco da fare, l'uomo sembra incapace di sbagliare anche quando potrebbe avere ragione, perché la presenza di Sabino Cassese sulla crisi di giustizia e magistrati, e l'intervento di Flick sulle anomalie di questo processo, quello che ha portato il “niente comitati” al referendum, sono soffocati da battute velenose sugli avversari politici e dal sentimento revanscista nei confronti degli ex compagni di partito, soprattutto quei “vigliacchi” – li chiama così – che ora ignorano il leader, dopo averlo acriticamente onorato alla tempo del Renzismo regnante.  

In questo senso, l'undicesima Leopolda è la Leopolda della sconfitta e di un "lutto" irrisolto, monopolizzato dalla difesa giudiziaria. È la Leopolda di una sopravvivenza politica affidata all'idea di una via macroniana fuori dai poli, che tanto ricorda il Terzo Polo di qualche anno fa, ai tempi del governo Monti. Succede che proprio in questa stazione, dove passava la classe dirigente del paese e una selva di ceti politici, amministratori, gente che accorreva per prendere un treno per il potere, si intravedeva il nuovo orizzonte l'intervento di Emilio Carelli, un gentilissimo giornalista arruolato da Di Maio nel 2018 e ora ideatore del gruppo centrista di Coraggio Italia che spiega il suo sogno di ricomposizione centrista. E poi Benedetto della Vedova. E poi Enrico Costa, ex Ncd ora con Action. C'è, ed è una notizia, Beppe Sala che, nel suo saluto, accenna al superamento degli attuali "perimetri" politici, frase che basta a stuzzicare le fantasie dei cronisti su chi sarà il frontman del gruppo centrista, il cui Il primo obiettivo è incidere sulla partita del Quirinale. Con la malcelata speranza che Draghi resti imbullonato a Palazzo Chigi e che la legislatura arrivi al 2023. Perché Macron si fa presto a dire. Se si vota è un'altra storia. 

Ricevi i migliori blog e storie al tuo indirizzo email, ogni giorno. La newsletter offre contenuti e pubblicità personalizzati. per saperne di più